IL SOSTEGNO PSICOLOGICO PER AFFRONTARE IL DIABETE

Se pensiamo ai bambini e alle loro emozioni difficilmente ci verrà in mente l'ira:forse penseremo alla rabbia, alla frustrazione che può portare ai temuti capricci, ma all'ira sicuramente non rientrerà nella top ten dei nostri pensieri.
Eppure anche i bambini sono capaci di provare questo sentimento così violento.
Dai venite ad Oleggio
Sabato pomeriggio alle 14:30
Vi aspetto all'Academy!!!
Barbara Camilli intervista Stefania Sempio - Insegnante di scuola in ospedale di Novara
L’Ospedale dei Pupazzi è una bella iniziativa promossa sul territorio nazionale dagli studenti di medicina.
A Novara, tale progetto, oltre che essere portato come gioco educativo nelle scuole o nelle piazze, è presentato anche in ospedale nel reparto di pediatria. Ovviamente, qui, è tutto diverso. I bambini che “portano il pupazzo dai pupazzologi” sono davvero malati: che siano lì per una visita di controllo, per una visita pre-operatoria o per qualcosa di più grave, vivono veramente la paura del dottore, l’ansia della visita del “chissà cosa mi fanno”. Ecco che il pupazzo può diventare un alleato di questi bambini. Il pupazzo, usato come transfert, è l’oggetto su cui trasferire le proprie emozioni, i propri pensieri e i propri vissuti, potendo così rielaborarli in modo funzionale per il bambino malato: il pupazzo può essere portato all’ospedale dei pupazzi perché, guarda caso, ha proprio male nello stesso punto in cui ha male l’accompagnatore! Oppure, perché deve fare una serie di esami che, forse, sono simili a quelli subiti; oppure ancora, il bambino ha la possibilità di entrare in un ospedale (anche se finto) e in contatto con i medici (anche se sono pupazzologi) in sicurezza, potendo sperimentare ed esplorare l’ambiente fatto di strani macchinari, tavoli operatori, siringhe (tutto di cartone e plastica, ma ben ricostruito) tramite il gioco simbolico del “facciamo finta che...”.
Che ruolo ha l’adulto in veste di guida informale?
L’adulto non insegna nozioni o competenze, non richiede prestazioni specifiche al bambino, ma si pone come esempio, mettendo in atto in prima persona le competenze che l’adulto/educatore desidera il bambino osservi ed assimili. L’apprendimento avverrà autonomamente nel bambino grazie al dialogo musicale posto dalla guida informale (proprio come avviene con la lingua parlata).
Oddio è da tantissimo che su questo blog non si scrive niente!! Sapete perchè?? Perchè Bagigio è super indaffarato!! Eccone la prova....
I disturbi specifici dell’apprendimento sono tra quelli più diagnosticati (Insieme ad un abuso della diagnosi di ADHD, Sindrome da deficit di attenzione e iperattività) tra i bambini e ragazzi in età scolare. Di cosa si tratta?
Innanzitutto NULLA DI GRAVE!! Il termine “disturbo” non indica una malattia, ma un aspetto più o meno problematico che può essere risolto o compensato.
I disturbi specifici dell’apprendimento sono: dislessia (difficoltà nel leggere), discalculia (difficoltà nel fare di conto), disgrafia (difficoltà nell’atto dello scrivere, cioè trasformare i pensieri in parole scritte), disortografia (difficoltà nell’ordinare e nell’uso del le lettere all’interno delle parole). Ovviamente, queste problematiche vengono rilevate nel momento in cui il bambino DEVE iniziare a leggere, scrivere e fare di conto, ovvero, con l’ingresso alla scuola primaria. La diagnosi, a cura di un neuropsichiatra, previa notifica della scuola alle famiglie, non può, però, essere emessa prima della fine della seconda elementare, in modo tale che il problema sia accertato e non si tratti, invece, solo di difficoltà generiche legate all’apprendimento della leptoscrittura e del calcolo.
Oggi più che mai il ruolo del genitore è sottoposto a tutta una serie di pressioni, provenienti non solo dal lavoro, dalla famiglia di origine, dal contesto sociale di riferimento, ma anche dai media, film, telefilm, soap opere, che danno indicazioni su come muoversi nel mondo della genitorialità. Indicazioni precise arrivano anche da libri e riviste di ogni genere. Senza nulla togliere alle riviste specializzate, oggi troppo spesso il genitore rincorre l'esperto per sapere come agire e interagire con i propri figli.
Sicuramente il confronto è utile e importante, ma come dice la parola stessa, il confronto conduce nella direzione di valutare due posizioni traendone le proprie conclusioni.
Ma cosa significa diventare genitori!
Questa volta, invece di partire da una frase tratta da uno dei racconti del nostro amico Bagigio, mi piacerebbe partire da un’immagine: la foto qui proposta è stata scattata durante uno dei laboratori che ha visto come protagonista Bagigio, aperto a genitori e bambini che avessero voluto passare un po’ di tempo assieme con noi.
Innanzitutto vorrei far notare la presenza del papà, molto spesso messa in secondo piano: di solito si parla di “mamme”, è la mamma che fa tutto ed è pienamente partecipe alla vita dei piccoli. Ma anche il papà è una figura molto importante. Al contrario delle mamme, i papà hanno un modo di approcciarsi con i bambini molto differente: si può dire che se la mamma e il bambino hanno una relazione “innata”, cominciata, cioè, a partire dal periodo prenatale, il papà deve costruire la relazione un passo alla volta con il figlio (sembra una banalità, ma non lo è affatto! Il bambino piccolo sta molto più tempo con la mamma che con il papà; il papà, si può dire, “arriva dopo” e, per questo, devono imparare a conoscersi reciprocamente).
Perché proporre l’arte ai bambini?
Precisiamo: cosa si intende per arte? Io non intendo di certo l’opera conclusa e presentata al pubblico in un ambiente dove non si possa toccare, sperimentare, capire, ma solo….guardare. E gli altri sensi?? Non pervenuti.
No, l’arte DEVE poter essere “raggiungibile” a tutti, altrimenti perché esisterebbe? Si può parlare di esperienza estetica, riprendendo la definizione data da Baumgarten nel ‘700, intendendo estetico qualcosa di percepito, raggiunto, capito attraverso l’uso dei sensi. Di tutti i sensi, cinque o quanti sono. Una conoscenza che arriva al nostro cervello attraverso l’esperienza estetica è, come dice il filosofo Dallari, molto, ma molto più intensa, profonda, permanente in noi rispetto ad una conoscenza solo studiata e “imparata a memoria” su un libro di testo, per esempio.
“Grazie” disse la mamma “sei molto gentile a dare alla mamma questo pezzo di carta che hai trovato nel cestone della raccolta differenziata. Grazie!” Divertita per la ricerca di Bagigio la mamma riprese tutte le carte, cartoni, buste, sacchetti, scatole, scatoloni, fazzoletti che Bagigio con
certosina pazienza aveva seminato in tutta la cucina.
La mamma di Bagigio è un’eroina. Si è ritrovata la cucina completamente invasa dalle cartacce e la sua reazione è stata quella di dire un “grazie” divertito. Avremmo davvero tutti reagito come la mamma di Bagigio? Sinceramente? Chissà
La mamma di Bagigio non si arrabbia. Accetta la curiosità del piccolo che lo ha portato a rovistare nella spazzatura per indagare, sperimentare e osservare tutto. Si direbbe contenta della curiosità mostrata dal bambino.
Ma tale reazione di calma non sarà sicuramente condivisa da tutti. Voi come avreste reagito?
Dopo essere diventato padrone della propria mano (dalle notevoli capacità investigative) e dopo aver finalmente conquistato la posizione erectus impadronendosi delle proprie gambe (per trottare, correre, camminare) Bagigio era pronto ad esplorare il mondo. Da solo. Si sentiva proprio come chi, almeno così diceva….”Non deve chiedere mai!”.
Sicuramente il nostro amico Bagigio è un bambino bello e sano e “che non deve chiedere mai”. Ma se il nostro bambino fosse un po’ meno sano? Se dovesse chiedere sempre l’aiuto di qualcuno? E se, in altre parole, il nostro bambino fosse disabile (ma bellissimo!)? Dopo la nascita, come fa ad inserirsi nel mondo (per esempio della scuola, ma non solo)?
Dovete sapere che Bagigio adora conoscere bambini e bambine. Gli piace parlare e giocare con loro, colorare e fare i lavoretti insieme, per non parlare poi delle carte da scambiarsi. Rivolgendosi alla bambina sorridente disse “Ciao io sono Bagigio e tu?”. Con lo sguardo non molto sorridente la piccola prima abbraccia la mamma e poi guardando Bagigio ma rimanendo tra le braccia della mamma risponde “Ciao io sono Patachiti” Sorridente Patachiti andò verso Bagigio che nel frattempo si era avvicinato ad una altra bellissima bambina della loro stessa età, che non aveva molta voglia di stare con gli altri bambini, voleva la sua mamma
Bagigio fa amicizia proprio con tutti e in tutte le situazioni. Per esempio, questo stralcio in cui si vede il nostro eroe fare amicizia con due bambine è tratto da un racconto in cui Bagigio va a trovare i bambini in ospedale. Lì incontra sempre persone nuove e lui non prova timore nel fare amicizia con loro.
Ma cosa succede quando notiamo nei nostri bambini la paura verso l’estraneo?
Alzato il coperchio, in un attimo di fronte a Bagigio si spalancò un mondo nuovo. Prese un oggetto e fermo lo guardò. Poi con abilità lo buttò a terra e subito ne prese un altro. Questo lo trattò in maniera diversa forse perché più grande. Si mise a guardarlo, a girarlo e a rigirarlo. Però lo buttò a terra, come il precedente. Senza un attimo di esitazione ne prese un altro, che risultò ancora più grande del precedente. Lo guardò, lo girò, lo rigirò, gli diede una morsicatina, come per sentirne il gusto. Dopo lo tirò. Lo tirò e lo ritirò come per sondarne la solidità. E finalmente lo buttò a terra. Con decisione prese subito un’altra cosa, stavolta però più piccola. La guardò e subito la portò in bocca. Diede un'altra morsicatina e poi con entrambe le mani provò a romperlo. Si stava divertendo un mondo. Oggetti piccoli, grandi, colorati o bianchi che si rompevano e no erano alla sua portata. Finalmente!!!