Mamma Aquila si è sollevata per un attimo, quel tanto che ha permesso di scorgere la bianca testolina del pulcino appena nato. Sicuro nel suo nido aspetta la mamma che veloce prende volando di radura in radura del cibo.

Quanta cura e quanta attenzione. Protettiva e rassicurante!

Bisognerà però proteggere il piccolo dalle mani avide dei bracconieri che in passato, e per troppo tempo, hanno agito indisturbati per rubare direttamente nei nidi uova e pulcini.

 

Quando mi fu chiesto di scrivere la premessa di questo libro, sapevo che avrei toccato dei tasti scomodi.

Tante troppo vicende familiari sono inquinate dall'interferenza economica che sotto mutati aspetti agiscono indisturbaati. In questo libro si riporta la storia di una famiglia, dove il quotidiano vivere è stato squarciato facendo irrompere persone, parole, presunte verità che hanno portato una figlia ad essere allontanata dalla base affettiva primaria: la famiglia.

Oggi più che mai il ruolo del genitore è sottoposto a tutta una serie di pressioni, aspettative, richieste, provenienti non solo dal lavoro, dalla famiglia di origine, dalla scuola, dal contesto sociale di riferimento, ma anche dai media, film, Social Network con tutti i mezzi di comunicazione che danno indicazioni su come muoversi nel mondo della genitorialità. Indicazioni precise arrivano anche da libri, riviste di ogni genere, per non parlare di vari blog e chat dedicate alla famiglia.

Sicuramente il confronto è utile e importante, ma come dice la parola stessa, il confronto conduce nella direzione di valutare due posizioni traendone le proprie conclusioni.

Tutti incolpano i genitori dei problemi dei giovani e di quello che i giovani sembrano causare alla società – E' tutta colpa dei genitori! -, si lamentano gli esperti di salute mentale, alla luce delle statistiche allarmanti sul numero sempre crescente di bambini e giovani che presentano disturbi emotivi gravi o invalidanti, che entrano nel giro della droga o si suicidano. I politici, i tutore dell'ordine rimproverano ai genitori di aver prodotto una generazione di ingrati, ribelli, di contestatori, di hippis, di pacifisti e di renitenti alla leva. E quando i bambini vanno male a scuola, o diventano degli emarginati irrecuperabili, insegnanti e funzionari scolastici sentenziano che è colpa dei genitori!

Ma chi aiuta il genitore?

 

Quanto impegno viene profuso nell'assisterli perchè diventino più efficaci nell'educare i figli?

E in quale sede un genitore può imparare quali sono i suoi errori e le possibili alternative?

Si dà la colpa ai genitori ma non ci si cura di educarli.

Ogni anno milioni di neo-padri e neo-mamme si assumono un compito fra i più difficili: prendere un neonato, un piccolo essere quasi totalmente indifeso e assumersi la piena responsabilità della sua salute fisica e psichica e della sua educazione per farne un adulto produttivo, collaborativo e costruttivo.

Si può pensare un lavoro più difficile e faticoso di questo?

E tuttavia quanti genitori vengono educati a farlo?” Thomas Gordon candidato al Premio Nobel per la Pace

Ma cosa significa diventare genitori!

La genitorialità non scatta automaticamente con la nascita di un figlio, come allo schioccare delle dita. Tutt’altro!

La nascita di un figlio apre un intero Universo, ed è quello della propria storia. Un figlio porta a rivedere sè stessi in qualità di figli, soprattutto se il bambino è dello stesso sesso del padre o della madre. Con il divenire genitori e con il crescere dei figli scattano vecchie paure, rancori, conflitti, timori accantonati per tanto tempo. Non solo, nel loro riemergere questi vissuti si manifestano con un intensità emotiva amplificata da anni di rimozione e/o negazione.

Chi ha sperimentato il rapporto con il proprio genitore omologo, beneficiando del suo amore ma anche scontrandosi con il suo carattere e le sue idee, è avvantaggiato, perché ha potuto sperimentare, libero da ogni interferenza, il rapporto con il medesimo. Al contrario, chi non ha potuto o voluto confrontarsi con il genitore omologo si potrà sentire incompleto, rifugiando in contesti o ricercando persone che possono compensare al meglio questa sensazione di “vuoto”.

 

 

Nonè mai stato facile allevare un bambino, educarlo, vivere accanto a lui cogliendo tutta la ricchezza di questo rapporto. Ma ora ci sembra particolarmente difficile: ed è vero! Questo perché, rispetto ad un tempo, sappiamo che gli anni dell’infanzia sono i più importanti e decisivi nella vita di ogni persona: le esperienze infantili aiutano a formare il carattere influenzando le scelte future, prefigurando gli obiettivi e lo stile di vita che si deciderà di adottare una volta divenuti adulti. Questa diffusa consapevolezza si traduce spesso in un senso di responsabilità maggiore e nel desiderio di saperne sempre di più sui bambini, sulle modalità e il rischio che una mancata crescita armoniosa comporta.

 

Non solo, ci sono maggiori pericoli, alcuni chiari ed evidenti altri più subdoli e nascosti (cyberbullismo, pedofilia, tratta dei minori).

Tra i pericoli pensiamo alle numerose e nascoste interferenze che si frappongono fra genitori e figli.

Cosa sono le interferenze? Tutto ciò che si frappone e crea un divario tra il genitore e il figlio impedendo loro di sentire e beneficiare del legame d'amore che li lega nello spazio e nel tempo.

Vittorio Volpi, psicanalista deceduto prematuramente nel 1998 innovatore nell'agire campo della psicanalisi, diceva che tra le agenzie che interferivano maggiormente c'era l'ospedale e la scuola! Vedendo nell'interferenza il frapporsi tra il figlio e il genitore di una realtà che si insinuava per il bene del figlio. Chiunque si frapponga fra il figlio e il genitore concorre in realtà a creare il disagio.

Purtroppo molti psicologi, educatori, assistenti all'infanzia hanno il brutto vizio di proporsi ai loro assistiti come un sostituto del genitore, specie se si tratta di adolescenti (età della contraddizione e del conflitto che nel genitore deve vedere e vivere la giusta palestra emozionale) aumentando in questo modo la distanza tra genitore e figlio che è già causa del malessere.

Oppure si propongono come i detentori del sapere verso i genitori, non educandoli (tirando fuori il loro sentire e il loro potenziale circa le situazioni educative che vivono) ma dicendo esattamente, in base al loro personale sentire, che cosa devono fare.

Educare, altresì, deriva dal latino E da, di, fuori Ducere condurre trarre : tirare fuori!

Quello del genitore, dunque, è stato, ed è, uno dei ruoli più difficili da gestire. È vero che le generazioni precedenti sono cresciute senza ricorrere a manuali ed esperti, ma è anche vero che la vita allora era molto diversa: l’uso della televisione e dell’auto era meno diffusa, il computer con i vari social network e l’alta tecnologia non esisteva ancora, gli scambi tra le diverse generazioni erano più frequenti e ravvicinati, in famiglia i ragazzi erano alle prese con i bambini più piccoli vivendo quotidianamente con loro, in mezzo magari, ad una schiera di fratelli, cugini.

La famiglia non era minimamente messa in discussione anzi.

Le nostre nonne sono solite raccontare che se un bambino veniva sgridato dalla maestra sentiva le parole anche dai genitori a casa.

In realtà si è smarrito il buon senso e l'umiltà nell'agire quotidiano.

Purtroppo dietro la tutela del minore in molti si ergono a paladini degli stessi.

Ma attenzione perchè se non si conoscono le dinamiche che scattano in una famiglia, non si diventa paladini, semmai si accendono e puntano i riflettori dell'accusa.

Come psicologa collaboro con l'Associazione Tu sei mio figlio che da assistenza e psicologica gratuita alle famiglie con minori. Nella collaborazione con l'Associazione ho seguito diversi casi dove la soluzione a determinate problematiche è stata vista nell'allontanamento dalla famiglia.

 

Credete: in nessun caso l'amore di quel genitore non è mai venuto meno.

C'erano, discussioni, ci sono state tensioni, richieste accorate dei figli a terzi più che in casa ritenuta la fonte del proprio problema: problema che in questi casi era la sensazione della mancata attenzione.

Non sono situazioni facili, ma gli addetti ai lavori che operano per il bene e la crescita sociale non devono mai frapporsi e come diceva il Volpi “sostituirsi al genitore”. Chi lo fa crea il danno!

Semmai occorre mediare, aiutare il giovane che chiede ascolto perchè non si sente capito a casa a orientarsi verso la famiglia imparando a comunicare. E laddove le problematiche ci sono e sono di un certo spessore, comunicare con la famiglia sempre e comunque!

 

Ricordiamo un fatto che non è scontato, oggi si diventa genitori senza mai aver visto un neonato, senza mai averlo preso in braccio, senza aver parlato prima con un bambino, per contro si conosce bene o male la realtà multimediale, che per sua caratteristica è priva di ogni forma di rapporto umano.

Ed ecco che dopo i primi momenti di gioia e di confusione all’arrivo di un bambino spesso subentra nello stato d’animo dei nuovi genitori, perdurando poi negli anni avvenire, la paura e lo sconforto perché non ci si sente all’altezza. All’altezza di cosa! Di un ruolo che fa parte della natura umana ma che viene ogni giorno distorto e contraddetto dai messaggi pubblicitari e dai media. Le insistenti offerte al consumo di beni di pseudo necessità, come merendine di ogni genere, succhi di frutta, cellulari e computer, scarpe e giubbotti firmati, compresi i pannolini, scooter, monopattino e quant’altro, inducono il genitore ad avere un rapporto coinvolgente ed attento ma che si esaurisce nella soddisfazione di innumerevoli, e spesso superficiali, bisogni corporei. Hai mangiato tutto a scuola? Hai fatto i compiti? Ti sei lavato i denti? Queste le domande più ricorrenti a cui i bambini rispondono. Questo però per un bambino è insufficiente perché il suo primo e vitale bisogno, dal momento in cui nasce (ma anche negli anni avvenire) è di instaurare un rapporto di relazione con l’adulto, che lo accudisce, lo protegge e lo rassicura in virtù del suo ruolo: di padre e madre, appunto!

Questo bisogno, è una necessità per il bambino ed è tutt’altro che facile in una società dove domina la legge della produttività, dell’efficientismo e del consumo, e dove il tempo del lavoro erode progressivamente il tempo dell’intimità e dell’affetto.

Per gli adolescenti poi si complica il tutto, soprattutto se sono attrezzati di strumenti e mezzi di comunicazione che gli fa vivere una presunta realtà, che tale non è.

Non sono il numero dei “Mi piace!” su Facebook che ti qualifica, tutt'altro.

Ci sono genitori stravolti nel cercare una forma di dialogo con figli dallo sguardo progressivamente spento, intristito o prosciugato in una magrezza che non ha ragione di essere.

Genitori che si sentono accusati di ogni colpa per non aver visto, quando in realtà vedevano e sentivano (le lacrime, il vomitare, la tristezza di una figlia chiusa in camera o in bagno a tagliarsi) ma impotenti.

Quanti genitori mi dicono “Non so cosa fare, perchè se gli dico di no, poi trova chi la asseconda fuori casa!”

I figli fanno richieste e pongono domande ogni giorno; domande a cui magari non si pensava, domande che spaventano e ci fanno sentire impotenti. Sono comunque domande e come tale ci devono indurre a delle riflessioni. Questi momenti sono doppiamente utili.

Bisogna aiutare i genitori a ragionare su quelle domande, su quello sguardo spento o assente, su quelle braccia segnate dalla richiesta di essere viste e per questo ascoltate. Così il genitore può conoscere e aiutare il figlio.

 

 

Purtroppo però spesso si cercano risposte rapide, sicure e d’effetto, come quelle suggerite da manuali tecnici o come quelle che bisogna trovare nel luogo di lavoro. Ma nei rapporti umani è inutile e controproducente cercare il ricettario che sappia risolvere per ogni circostanza problemi e conflitti. I figli hanno il potere di accorgersi quando una risposta è dettata dalla fretta e dalla mancanza di coinvolgimento, e questo perché la loro sensibilità non è irrigidita e bloccata come nella maggior parte degli adulti; almeno per il momento.

Genitori si diventa insieme al figlio che cresce; ed è costui che pone, in base alle fasi della sua crescita, richieste sempre nuove e diverse, a cui siamo chiamati a rispondere ricordandoci sempre di avere di fronte una persona, forse piccola, forse inesperta, ma sempre e comunque una persona meritevole di ascolto e rispetto. Genitori dunque non si nasce per diritto divino; sarebbe utopistico il solo pensarlo. Genitori si diventa insieme al bambino nel momento in cui una coppia lo concepisce e lo cresce. Il lettore, che è anche genitore avrà provato svariate emozioni quando il bambino ha pronunciato le sue prime parole, per non dire poi di quando li ha nominati: “papà”, “mamma”. Fissandosi magari per molto tempo a dire o solo papà, o solo mamma. Con il risentimento magari del genitore che non veniva chiamato. Si è provata un emozione fortissima mista tra orgoglio e senso di riconoscimento nel ruolo genitoriale. Un emozione di gioia e di pienezza totale, ma per alcuni anche di paura, di rifiuto fino alla fuga dal rapporto di coppia.

Pensare, e sentirsi chiamato, dal proprio figlio o figlia attiva nel genitore svariate emozioni, che corrispondono, per induzione, allo stato emotivo affettivo del figlio. Se questo si verifica vuol dire che genitore e figlio sono riusciti a stabilire un buon rapporto simbiotico, mentre quando un genitore è impossibilitato a fare ciò vuol dire che qualcosa, o qualcuno, si sovrappone tra lui e il figlio interferendo in un rapporto, che per il bambino, i giovane è la sorgente della sicurezza affettiva e della propria identità.

Come dicevo è per quanto difficile sia, ed è veramente difficile, non bisogna dimenticare che l’atteggiamento giusto nei confronti del figlio, ma ancor prima verso sé stessi, è quello della disponibilità al dialogo e all’ascolto empatico verso le richieste che arrivano (ma anche dal proprio intuito e dalle proprie sensazioni). Richieste che attendono risposte! Per quanto strano e assurdo possa sembrare, posso dire che loro apprezzano e sono molto più indulgenti con chi è maldestro e pasticcione rispetto al super papà o alla efficientissima mamma (reclamizzati tanto dalla nostra società commerciale), soprattutto se li sentono vicini e animati nel profondo dalle migliori intenzioni.

L'esperto, quale è lo psicologo, non deve mai essere colui che si frappone, altrimenti è l'interferenza che non permette il chiarimento.

I giovane che critica e condanna il genitore, è il primo poi a prenderne le difese.

Il punto è, andaare oltre le parole e cogliere i bisogni che ci sono sotto.

Ma l'aspetto più significativo, nella modalità da noi adottata, risiede nel ruolo assunto dallo psicanalista, proposto principalmente come supporto, e mai come alternativa al genitore” Vittorio Volpi

Il CIRSOPE, Centro Italiano di Ricerca Scientifica Operativa nella Psicanalisi e nell'Educazione da oltre trentanni lavora in questa direzione. Nella direzione di non sostituirsi al genitore anche nei casi più gravi, ma aiutando questi a tirare fuori le sue risorse al fine di aiutare il proprio figlio.

Svariati miei colleghi hanno lavorato con le situazioni più difficili ma riuscendo sempre a mettere in comunicazione genitore figlio.

Il processo di socializzazione si configura dunque, come un momento educativo che si realizza prima di tutto all’interno della famiglia. Giocare, interagire, ridere ma anche arrabbiarsi e dibattersi con il genitore nella prima infanzia è importante per il bambino, perché comunque vada il genitore lo confermerà sempre con il suo amore. E’ pertanto illusorio pensare che il solo fatto di stare insieme a tanti bambini, per di più all’interno di una situazione scolastica, che è per sua indole giudicante, possa aiutarlo a socializzare e a superare le difficoltà.

Molte esigenze e necessità educative ce le siamo create noi con il benessere (asilo nido e scuola materna), occorre però ricordare che il bambino è in via di sviluppo, che la sua identità è in via di formazione, che il senso del giudizio è agli albori, che lo sviluppo sessuale in senso psichico sarà decisivo nel periodo della preadolescenza, lo stesso vale per lo sviluppo emozionale.

Con questo voglio dire che ci sono dei periodi nella vita della persona che vanno rispettati, a maggior ragione per un bambino e non accelerati e forzati. Le tappe evolutive di ognuno sono soggettive: ci sono bambini che anticipano dei processi (cognitivi o motori) a scapito di altri e viceversa. Questo vale anche nella capacità e voglia di stare con i coetanei: ci sono bambini che lo desiderano perché incuriositi mentre altri manifestano un certo disinteresse. Forzarli a interagire è un errore. Il genitore che lo fa dovrebbe domandarsi se è un suo bisogno, una sua necessità. Se così fosse si dovrebbe assecondare cercando delle occasioni per “socializzare”.

Ricordo il caso di una bambina, che chiamerò Giulia, di tre anni che con la mamma stava facendo l’inserimento alla scuola materna.

La bambina per i suoi tre anni sembrava molto più grande, era infatti più alta dei suoi coetanei, gracile e per questo molto pallida. In gruppo non sorrideva mai. Quando la mamma la accompagnava, stava un po’ con lei e poi la lasciava con gli altri bambini ma Giulia si metteva subito a piangere, non voleva sentire ragioni all’idea di staccarsi da sua mamma. Questa per un po’ rimaneva ma poi doveva andare. Nel resto della giornata la bambina non giocava con nessuno, non partecipava a nessuna attività educativa, stava da sola ad aspettare che sua mamma la venisse a prendere. Al momento del pasto poi non mangiava, e se forzata andava in bagno a vomitare, a volte anche solo acido gastrico.

Il tutto viene fatto presente alla madre la quale dice che anche a casa mangia poco ma ritiene giusto mandare sua figlia a scuola, anche se lei è a casa dal lavoro. La bambina stà sviluppando un principio di anoressia, e rifiutando il cibo vive il conflitto con la madre.

La madre aveva deciso di mandare la figlia a scuola perché erano scattati i tre anni. Età in cui si accede alla scuola materna.

In realtà questa bambina non era pronta emotivamente a stabilire delle relazioni con altri bambini perché non aveva ancora acquisito una sua serenità emotiva. A differenza degli altri bambini aveva bisogno di più tempo, soprattutto di tempo da trascorrere con la madre.

Come spesso accade questa mamma voleva solamente aderire all’uso di portare la figlia alla scuola materna giunti i tre anni, senza valutare se la figlia era pronta per una esperienza così nuova e intensa.

Vorrei sottolineare due aspetti; innanzitutto che nel contesto sociale attuale, dove imperano le interferenze di ogni tipo; economiche, sociali e culturali, la famiglia può facilmente trovarsi spaesata e non sapere come orientarsi, di fronte a tanti messaggi. Il vissuto comune è di sentirsi diversi, se non si aderisce ai modelli sociali oltre che ai canoni estetici proposti e imposti dalla nostra società.

Ecco che per formarsi e per crescere la famiglia necessita del nutrimento e del contributo di tutti i suoi componenti, altrimenti la legge dell’economico, quindi il dare per avere, cancella non solo ogni possibilità di esprimere l’amore, ma anche di comunicare.

E' importante dare ampio spazio all’interno della famiglia ai rapporti simbiotici, cioè di seguire la naturale spinta all’amore, che è nell’indole di un genitore, quindi abbracciarsi, scambiarsi dei massaggi, raccontarsi storie, esprimere le emozioni verbalizzando, ad esempio, cosa si prova nelle varie esperienze quotidiane: gioia per essere insieme alla mamme al papà, tristezza perché non vede il nonno, paura perché ha visto un cane abbaiare all’improvviso, rabbia perché ha litigato con l’amico…., questo al fine di condividere le gioie e i dolori educando i piccoli all'empatia.

 

 

Prestare ascolto al mondo emotivo del proprio figlio, ma anche al proprio, ci permette di crescere insieme a lui. Noi abbiamo molto da dire e da raccontare, ma anche nostro figlio ha molto da insegnarci in termini di umiltà, capacità di ascolto, determinazione, entusiasmo, gusto per la scoperta, il piacere della novità e del dolce far niente.

 

A tal proposito una madre di tre figli maschi tempo fa mi disse, che a loro aveva dato tanto, “amore, coccole, momenti di tenerezza. Aveva condiviso le crisi evolutive, i pianti, le richieste ossessive, ma proprio per questo da loro aveva imparato molte cose. Aveva tratto insegnamento e voglia di fare dall’inesauribile energia che questi figli sprigionavano in ogni cosa che facevano e che a lei, per tanti motivi, era sempre mancato”.

 

http://www.nidiviolati.it/

http://www.tuseimiofiglio.it/

Save
Cookies user preferences
We use cookies to ensure you to get the best experience on our website. If you decline the use of cookies, this website may not function as expected.
Accept all
Decline all
Read more
Analytics
Tools used to analyze the data to measure the effectiveness of a website and to understand how it works.
Google Analytics
Accept
Decline